L’evoluzione dell’educazione occidentale
Per comprendere più a fondo il perché educhiamo, e da dove nasce questa esigenza, possiamo fare qualche passo indietro e tornare alle origini della nostra civiltà.
L’evoluzione dell’educazione nella civiltà occidentale: tre tappe
La culla della civiltà: l’antica Grecia
Non possiamo fare a meno di guardare pieni di ammirazione la grandezza della civiltà greca, e di domandarci se mai saremo in grado di ricreare una simile bellezza.
Per trovare risposta, conosciamo prima il massimo portavoce della sua cultura: il ginnasta.
Egli era capace di portare a manifestazione la bellezza divina attraverso la bellezza del proprio corpo, e sapeva come condurre tale bellezza a esprimersi anche nei fanciulli. In qualità di educatore, non si proponeva affatto di sviluppare nel fanciullo quella che noi oggi chiamiamo spiritualità, ma il suo obiettivo era solamente sviluppare il corpo umano in modo che esso, attraverso l’armonia delle sue parti e l’armonia dei suoi movimenti, potesse elevarsi fino a essere una manifestazione corporea della bellezza di Dio. L’armonizzazione corporea dell’uomo era il fulcro. La bellezza e la perfezione che noi osserviamo con tanta ammirazione, scaturivano spontaneamente dall’intima natura dell’uomo.
L’educazione del bambino
Il bambino greco veniva educato in casa fino al settimo anno, dove vivevano le donne. Egli era sottratto alla generale attività sociale degli uomini; questo perché i greci erano convinti che nel corpo del bambino si palesassero le forze della sua vita preterrena, e che tali forze dovessero essere protette al fine di farle perdurare per tutta la vita.
Il potente principio dell’educazione greca risiede proprio in questo: educare affinché, fino alla morte, il bambino nell’uomo non andasse perduto. Una regola educativa radicale e straordinariamente significativa. Perciò tutti gli esercizi ginnastici erano in un certo modo regolati per controllare che le forze esistenti fino al settimo anno non andassero perdute, ma dormissero soltanto. Intorno ai sei anni, di giorno in giorno, tali forze venivano risvegliate.
Ai sette anni il bambino veniva affidato all’educazione pubblica. L’educazione ginnastica ora equivaleva a un estrarre dall’uomo ciò che nel primo settennio esisteva naturalmente ed era stato protetto.
Il greco pensava: “Se io, con le mie cure, mantengo possibilmente fresco e sano ciò che il bambino ha sviluppato come forze di crescita fino al settimo anno, e se lo educo in modo che queste forze che esistono spontanee fino al 17º anno rimangano per tutta la vita fino alla morte, allora educo il bambino nel migliore dei modi.”
Questo era il grande, potente principio dell’educazione greca.
Perché non possiamo imitare l’ideale greco
Quando stiamo pieni di ammirazione davanti a questa grandezza, dobbiamo domandarci: possiamo imitare un simile ideale? Noi non possiamo imitarlo. Infatti esso poggia su tre condizioni senza le quali è impossibile immaginarlo: la schiavitù antica, l’antica condizione della donna e l’antico stato ti saggezza spirituale.
1ª CONDIZIONE
La prima condizione riguarda il fatto che le massime educative suddette esistevano soltanto per una piccola parte dell’umanità, per lo strato superiore di essa, e presupponevano la schiavitù. Se non vi fosse stata la schiavitù, non vi sarebbe stato nel sistema greco di educazione un piccolo strato superiore di umanità da educare. Infatti per poter educare in tal modo, occorreva che una parte di quanto l’uomo deve compiere sulla Terra fosse compiuto da coloro che venivano abbandonati al loro destino umano elementare, senza essere educati nel modo che in Grecia era considerato giusto.
2ª CONDIZIONE
La seconda condizione riguarda la situazione della donna nella vita sociale greca. Le donne vivevano in disparte dagli impulsi che la civiltà greca produceva. Solo questa vita segregata rendeva possibile che fino al settimo anno il bambino vivesse abbandonato in casa al puro istinto, poiché così egli veniva allevato senza nessuna cognizione.
3ª CONDIZIONE
La terza condizione va più in profondità. Noi attualmente raggiungiamo quanto conosciamo sulla vita spirituale grazie ai nostri studi. In un certo senso, ce la dobbiamo guadagnare attraverso un duro lavoro di conoscenza. Ma quando ci volgiamo verso la civiltà umana originaria, troviamo che in essa regnava naturalmente una profonda saggezza, sulla base della quale l’uomo regolava la propria vita. Quella saggezza non era stata conquistata dall’umanità, ma le era pervenuta grazie a una rivelazione, una specie di ispirazione. In base ad essa, e per essa, in Grecia si badava a conservare il bambino nell’uomo fino alla morte.
A seguito di tutta l’evoluzione dell’umanità, questa rivelazione della saggezza originaria oggi non esiste più. Quel che l’uomo nell’epoca moderna deve conquistare da se stesso, se lo deve conquistare perché ha perduto ciò che in origine, dall’esterno, veniva rivelato e che conteneva in sé la massima saggezza.
La perdita della saggezza primordiale, la necessità di pervenire alla saggezza mediante il proprio lavoro, ecco che cosa è connesso con la terza premessa dell’educazione greca.
Tutte e tre queste premesse oggi non esistono più e non verrebbero più considerate degne dell’uomo. La natura umana è diventata un’altra.
Il rettore nella tradizione romana
Con la civiltà romana ci troviamo dinanzi a una cesura. Se da un lato, sorge pian piano la coscienza che la schiavitù non deve esistere e che la donna deve essere rispettata, dall’altra si rese evidente che il fanciullo, tra il settimo e quattordicesimo anno di vita, non amasse più prolungare e conservare la giovinezza come si usava nell’Antica Grecia.
Il principio estetico dell’educazione ginnastica dei greci vive ancora nella civiltà romana, tuttavia vediamo come l’educazione del corpo e quella dell’anima si vadano, anche se assai lentamente, separando. L’educazione del corpo comincia a diventare una cosa secondaria, mentre si volge lo sguardo sempre più verso l’elemento animico.
Siamo dinanzi a una trasformazione dell’ideale educativo umano; al posto del ginnasta si fa innanzi un altro uomo: il rettore. In lui sarà principalmente coltivato qualcosa che si manifesta astrattamente: la parola.
L’astrazione della civiltà romana
Questa tendenza all’astrazione della civiltà romana conduce alla separazione di spirito, anima e corpo. La natura e la sua osservazione sono ancora dirette, ma quel che riguarda il soprasensibile e la vita non poteva più essere vissuto individualmente, bensì solo tramandato, divenendo per così dire una tradizione. Interiormente si dovette quindi cominciare a coltivare come una necessità ciò che il greco non avrebbe pensato affatto di coltivare: la fede, e la memoria.
La saggezza spirituale originaria, che per i greci scorreva per così dire come una cosa ovvia, si trasformò sotto la tradizione romano-medioevale in ciò che veniva conservato soltanto dai libri, dalla scrittura, e in cui in effetti si credeva soltanto per l’autorità della tradizione. Il concetto di fede, quale si sviluppò durante il medioevo, non esisteva affatto nell’antichità, e neppure presso i greci. Esso sarebbe stato per gli antichi e per i greci un’assurdità. Il concetto della fede si sviluppò soltanto quando la saggezza originaria non scorreva più direttamente, ma era soltanto custodita, conservata.
La capacità dell’uomo di agire per mezzo del discorso scaturisce dalla romanità, passa fin dentro ai primi tempi del medioevo e manifesta il capovolgimento da un’educazione puramente corporea a un’educazione d’ora in poi più animica a fino della quale l’educazione corporea seguitò in certo qual modo a svolgersi come un accessorio.
Questo agì sugli orientamenti educativi. L’educazione dei fanciulli fu dunque orientata in modo da adeguarsi a ciò che era considerato il nuovo ideale di perfezione per l’umanità.
L'educazione nel Medioevo
Si arriva così alla metà del Medioevo, col suo grande capovolgimento verso l’intellettualità, con la sua venerazione e il suo rispetto per l’intellettualità. Sapere qualcosa divenne ormai l’ideale a cui aspirare. Mentre ancora, durante tutto il primo Medioevo, il convincere gli altri era l’ideale educativo, il nuovo ideale divenne il sapere. Tuttavia si trattava ancora di un sapere legato alla capacità di comprensione. Una cosa poteva aver valore nel mondo dei sensi solamente quando la si poteva dimostrare partendo dall’ordine divino spirituale del mondo. Questo allora non era soltanto un principio astratto, ma una sensazione e un sentimento universale umano.
Sorge in questo contesto l’ideale del dottore. Il dottore diventa l’ideale dell’uomo perfetto.
Ma accanto a questa tendenza emerge anche un altro ideale: l’ideale dell’umanità universale, che porta con sé il desiderio di educare l’intero uomo.
L'educazione al giorno d'oggi
Come prima una cosa poteva aver valore nel mondo dei sensi solamente quando la si poteva dimostrare partendo dall’ordine divino spirituale del mondo, nel nostro tempo si è andati tanto avanti, che tutto, anche ciò che riguarda l’ordinamento divino spirituale del mondo, può avere valore soltanto quando lo si può dimostrare mediante il mondo dei sensi; ovvero quando si possono fare esperimenti e osservazioni sensoriali.
Si potrebbe dire che l’umanità è diventata debole nella sua interiorità. Non sente più i forti sostegni di una vita interiore produttiva, ed è qui che si situa l’educazione Waldorf. Proprio come nell’epoca romana fu impossibile educare alla maniera greca, e nel medioevo educare alla maniera romana, così oggi si tratta di trasformare l’educazione del dottore in una educazione dell’umanità.
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