Il fuso, la spola e l’ago (Grimm, 188)

Racconto per bambini
Età consigliata: dai 5 anni
Il fuso, la spola e l'ago
C’era una volta una ragazza, orfana di entrambi i genitori sin dalla tenera età. La sua madrina viveva tutta sola in una piccola casetta ai confini del villaggio, e per vivere faceva la tessitrice, la filatrice, e la cucitrice; la vecchia prese l’orfanella a servizio e la crebbe caritatevolmente. Quando la fanciulla ebbe quindici anni, la madrina si ammalò; allora chiamò a sé la ragazza e le disse: “Mia cara figliola, sento che la mia fine è vicina; ti lascio questa mia casetta che ti proteggerà da venti e dal maltempo. Ti lascio, inoltre, un fuso, una spola, e un ago. Con questi potrai guadagnarti da vivere.” Così dicendo, pose le mani sul capo della fanciulla, e la benedisse: “Serba Dio nel tuo cuore e non avrai che bene” E chiuse gli occhi. Quando la seppellirono nella terra per darle l’eterno riposo, la ragazza comparì davanti alla bara piangendo e porgendole i più rispettosi omaggi.
La fanciulla viveva ora tutta sola in quella piccola casa. Era assai operosa: tutto il giorno puliva, rassettava, cuciva e tesseva, e tutto quello che faceva era benedetto dalla buona vecchia. Sembrava che il lino nella sua cucina si moltiplicasse, e, ogni volta che tesseva un tappeto, o della stoffa, o cuciva una camicia, ecco che subito si presentava un compratore che pagava lautamente il suo lavoro; in questo modo non si trovò mai in difficoltà e avanzava sempre qualcosa da spartire con gli altri.
In quel periodo, il figlio del re si trovava di passaggio per le terre del regno, in cerca di una moglie; non la voleva né povera, né ricca. Diceva: “Mia moglie dovrà essere nel contempo, sia la più povera, che la più ricca.” Quando giunse in quel villaggio, domandò, come al solito, chi fosse la più ricca e allo stesso tempo la più povera. Subito gli citarono la ragazza più benestante, e poi dissero che la fanciulla più povera era senz’altro quella che viveva in quella casetta ai limiti del paese.
La ragazza ricca sedeva all’entrata, tutta agghindata, e quando il principe si avvicinò, ella gli fece un inchino; lui non le disse neanche una parola, e cavalcò via. Quando giunse alla casa della fanciulla povera, non la trovò sull’uscio, ma sedeva nella sua cameretta. Il figlio del re fermò il cavallo e guardò dentro alla finestra, sulla quale brillava un sole luminoso, e in quel mentre vide la ragazza, seduta composta al filatoio a filare diligentemente. Alzò lo sguardo, e quando si vide spiata dal giovane, subito arrossì imbarazzata, chiuse gli occhi, e continuò a filare. Non so se il filo questa volta fosse uscito proprio tutto uguale, ma lei continuò a filare fino a quando il principe se ne fu andato. Allora, si diresse alla finestra e l’aprì, dicendo: “Fa così caldo in questa stanza,” e facendo finta di niente, continuò a seguirlo furtivamente con lo sguardo fino a quando riuscì a scorgere le piume bianche del cappello di lui. La fanciulla tornò poi a sedersi al filatoio e continuò il suo lavoro, finché improvvisamente rammentò certe parole che la vecchia madrina recitava talvolta mentre lavorava, e la cantò a mezza voce:
Fuso, mio fuso, sù, gira in fretta
porta lo sposo nella casetta.
E che avvenne? Il fuso le scivolò dalle mani e sgattaiolò fuori di casa; stupefatta, la ragazza balzò in piedi e lo vide danzare festosamente tra i campi, mentre lasciava svolgere un bellissimo filo d’oro tutto scintillante, e in un battibaleno sparì dalla sua vista. Così, dal momento in cui si ritrovò senza il fuso, prese la spola, si sedette al telaio e cominciò a tessere.
Intanto, il fuso continuò incessantemente la sua danza, e quando il filo raggiunse il fondo, ecco che comparve giusto giusto davanti al principe, il quale esclamò: “E quello cos’è? Sembra un fuso. Possibile che mi stia indicando la strada?” Voltò il cavallo e andò dietro al filo d’oro. Intanto, la fanciulla continuava il suo lavoro e cantava:
Tessi, mia spola, la stoffa più fina,
mena lo sposo nella casina.
Così dicendo, anche la spola le fuggì di mano e sgattaiolò all’uscita della casetta, e lì, cominciò a tessere il più bel tappeto che si fosse mai visto al mondo: ai lati fiorivano rose e gigli; nel mezzo, su un sfondo d’oro, c’erano file di prato verde su cui saltellavano lepri e conigli, ed, inoltre, tanti cervi a fare capolino.
E, in alto, posatisi sui rami, tanti incantevoli uccelli dalle ali variopinte; mancava solo il loro dolce canto. La spola, intanto, continuava a saltare avanti e indietro, e tutto si animava intorno ad essa.
Dopo che anche la spola se ne fu scappata via, alla fanciulla non restò che un ago. Decise allora di mettersi a cucire, e cucendo cantava:
Ago, bell’ago, acuto e sottile,
fa’ per lo sposo la casa gentile.
Allora l’ago le schizzò dalle dita e volò su e giù per la cucina più velocemente di un fulmine: era come se ci fossero dei folletti invisibili a dirigere le operazioni, e in brevissimo tempo la tavola e le panche furono rivestite da un bel tessuto verde, le sedie furono ricoperte di velluto puro, e alle finestre furono appese delle tendine di seta. L’ago aveva appena cucito il suo ultimo punto, quando la fanciulla vide dalla finestra le piume bianche del berretto del principe, che era stato condotto lì dal filo d’oro del fuso. Smontò da cavallo e si diresse verso l’entrata, passando per il tappeto, ed entrò in casa; quando fu in cucina, trovò la fanciulla vestita di un semplice abito, e pur così bella da risplendere come una rosa di maggio.
“Tu sei la più povera, ma anche la più ricca” le disse, “vieni con me, e sarai la mia sposa.” Ella taceva, ma allungò una mano verso di lui; poi, il principe le diede un bacio e la condusse fuori, la fece montare sul suo cavallo, e la condusse al palazzo reale dove ebbero luogo le nozze che furono celebrate con grande giubilo. E da quel giorno in poi il fuso, la spola, e l’ago furono custoditi nella sala del tesoro, e conservati con tutti gli onori.
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