Il brutto anatroccolo (Andersen, 25)
Racconto per bambini
Età consigliata: dai 5 anni
Il brutto anatroccolo
Era così bello in campagna, era estate! Il grano era bello giallo, l’avena era verde e il fieno era stato ammucchiato nei prati; la cicogna passeggiava sulle sue slanciate zampe rosa. Intorno ai campi e ai prati c’erano grandi boschi, e in mezzo ai boschi si trovavano laghi profondi; era proprio bello in campagna! Lì si trovava un’anatra col suo nido. Doveva covare gli anatroccoli, ma ormai era stanca, sia perché ci voleva tanto tempo sia perché non riceveva quasi mai visite. Le altre anatre preferivano nuotare lungo i canali piuttosto che risalire la riva e sedersi sotto una foglia di farfaraccio a chiacchierare con lei. Finalmente una dopo l’altra, le uova scricchiolarono. “Pip, pip” si sentì, tutti i tuorli delle uova erano diventati vivi e sporgevano fuori la testolina.
“Qua, qua!” disse l’anatra, e subito tutti schiamazzarono a più non posso, guardando da ogni parte sotto le verdi foglie; e la madre lasciò che guardassero, perché il verde fa bene agli occhi.
“Com’è grande il mondo!” esclamarono i piccoli, adesso infatti avevano molto più spazio di quando stavano nell’uovo.
“Credete forse che questo sia tutto il mondo?” chiese la madre. “Si stende molto lontano, oltre il giardino, fino al prato del pastore; ma fin là non sono mai stata. Ci siete tutti, vero?” e intanto si alzò. “No, non siete tutti. L’uovo più grande è ancora qui. Quanto ci vorrà? Ormai sono quasi stufa” e si rimise a covare.
“Allora, come va?” chiese una vecchia anatra giunta a farle visita.
“Ci vuole tanto tempo per quest’unico uovo!” rispose l’anatra che covava. “Non vuole rompersi. Ma dovresti vedere gli altri! Sono i più deliziosi anatroccoli che io abbia mai visto, assomigliano tanto al loro padre, quel briccone, che non viene neppure a trovarmi.”
“Fammi vedere l’uovo che non si vuole rompere!” disse la vecchia. “Può essere un uovo di tacchina! Anch’io sono stata ingannata una volta, e ho passato dei guai con i piccoli che avevano una paura incredibile dell’acqua. Non riuscii a farli uscire. Schiamazzai e beccai, ma non servì a nulla. Fammi vedere l’uovo. Sì, è un uovo di tacchina. Lascialo stare e insegna piuttosto a nuotare ai tuoi piccoli.”
“Adesso lo covo ancora un po’; l’ho covato così a lungo che posso farlo ancora un po’!”
“Fai come vuoi!” commentò la vecchia anatra andandosene.
Finalmente quel grosso uovo si ruppe. “Pip, pip” esclamò il piccolo e uscì: era molto grande e brutto. L’anatra lo osservò.
“È un anatroccolo esageratamente grosso!” disse. “Nessuno degli altri è come lui! Purché non sia un piccolo di tacchina! Bene, lo scopriremo presto, quando entrerà in acqua.”
Il giorno dopo era una giornata bellissima; il sole splendeva sulle verdi foglie di farfaraccio. Mamma anatra arrivò con tutta la famiglia al canale. Splash! si buttò in acqua; “qua, qua!” disse, e tutti i piccoli si tuffarono uno dopo l’altro. L’acqua coprì le loro testoline, ma subito tornarono a galla e galleggiarono beatamente; le zampe si muovevano da sole e c’erano proprio tutti, anche il piccolo brutto e grigio nuotava con loro.
“No, non è un tacchino!” esclamò l’anatra “guarda come muove bene le zampe, come si tiene ben dritto! È proprio mio! In fondo è anche carino se lo si guarda bene. Qua, qua! venite con me, vi condurrò nel mondo e vi presenterò agli altri abitanti del pollaio, ma state sempre vicino a me, che nessuno vi calpesti, e fate attenzione al gatto!”
Entrarono nel pollaio. C’era un chiasso terribile, perché due famiglie si contendevano una testa d’anguilla, che alla fine andò al gatto.
“Vedete come va il mondo!” disse la mamma anatra leccandosi il becco, dato che anche lei avrebbe voluto la testa d’anguilla. “Adesso muovete le zampe” aggiunse “provate a salutare e a inchinarvi a quella vecchia anatra. È la più distinta di tutte, è di origine spagnola, per questo è così pesante! Guardate, ha uno straccio rosso intorno a una zampa. È una cosa proprio straordinaria, la massima onorificenza che un’anatra possa ottenere.
Forza, non tenete i piedi in dentro! Un anatroccolo ben educato tiene le gambe ben larghe, proprio come il babbo e la mamma. Ecco! Adesso chinate il collo e dite qua!”
E così fecero, ma le altre anatre lì intorno li guardarono e esclamarono: “Guardate! Adesso arriva la processione, come se non fossimo abbastanza, e, mamma mia com’è brutto quell’anatroccolo! Lui non lo vogliamo!” e subito un’anatra gli volò vicino e lo beccò alla nuca.
“Lasciatelo stare” gridò la madre “non ha fatto niente a nessuno!”
“Sì, ma è troppo grosso e strano!” rispose l’anatra che lo aveva beccato “e quindi ne prenderà un bel po’!”
“Che bei piccini ha mamma anatra!” disse la vecchia con lo straccetto intorno alla zampa “sono tutti belli, eccetto uno, che non è venuto bene. Sarebbe bello che lo potesse rifare!”
“Non è possibile, Vostra Grazia!” rispose mamma anatra “non è bello, ma è di animo molto buono e nuota bene come tutti gli altri, anzi un po’ meglio. Credo che, crescendo, diventerà più bello e che col tempo sarà meno grosso. È rimasto troppo a lungo nell’uovo, per questo ha un corpo non del tutto normale”. E intanto lo grattò col becco sulla nuca e gli lisciò le piume. “Comunque è un maschio” aggiunse “e quindi non è così importante. Credo che avrà molta forza e riuscirà a cavarsela!”.
“Gli altri anatroccoli sono graziosi” disse la vecchia. “Fate come se foste a casa vostra e, se trovate una testa d’anguilla, portatemela.”
E così fecero come se fossero a casa loro.
Ma il povero anatroccolo era così brutto che venne beccato, spinto e preso in giro, sia dalle anatre che dalle galline. Così passò il primo giorno, e col tempo fu sempre peggio. Il povero anatroccolo veniva cacciato da tutti, persino i suoi fratelli erano cattivi con lui e dicevano sempre: “Se solo il gatto ti prendesse, brutto mostro!” e la madre pensava: “Se tu fossi lontano da qui!.” Le anatre lo beccavano, le galline lo colpivano e la ragazza che portava il mangime alle bestie lo allontanava a calci.
Così volò oltre la siepe e arrivò nella grande palude, abitata dalle anatre selvatiche. Lì giacque tutta la notte: era molto stanco e triste.
Il mattino dopo le anatre selvatiche si svegliarono e guardarono il loro nuovo compagno. “E tu chi sei?” gli chiesero, e l’anatroccolo salutò come meglio potè.
“Sei proprio brutto!” esclamarono le anatre selvatiche “ma a noi non importa, purché tu non ti sposi con qualcuno della nostra famiglia!” Quel poveretto non pensava certo a sposarsi, gli bastava solamente poter stare tra i giunchi e bere un po’ di acqua della palude.
Lì rimase due giorni, poi “Pum, pum!” si sentì in quel momento. L’acqua si arrossò per il sangue delle povere anatre. “Pum, pum!” si sentì di nuovo, e tutte le anatre selvatiche si sollevarono in schiere. Poi spararono di nuovo. C’era caccia grossa; i cacciatori giravano per la palude; alcuni si erano arrampicati sui rami degli alberi e si affacciavano sui giunchi. Il fumo grigio si spandeva come una nuvola tra gli alberi e rimase a lungo sull’acqua. Nel fango giunsero i cani da caccia! Canne e giunchi dondolavano da ogni parte.
Spaventato, il povero anatroccolo piegò la testa cercando di infilarsela sotto le ali, ma un cane terribilmente grosso, con la lingua che gli pendeva fuori dalla bocca e gli occhi che brillavano, avvicinò il muso all’anatroccolo, mostrò i denti aguzzi e se ne andò senza fargli nulla.
L’anatroccolo sospirò: “Sono così brutto che persino il cane non osa mordermi.”
E rimase tranquillo, mentre i pallini fischiavano tra i giunchi e si sentiva sparare un colpo dopo l’altro.
Solo a giorno inoltrato tornò la quiete, ma il povero anatroccolo ancora non osava rialzarsi; attese molte ore prima di guardarsi intorno, e poi si affrettò a lasciare la palude il più presto possibile. Corse per campi e prati, ma c’era molto vento e faceva fatica ad avanzare.
Verso sera raggiunse una piccola casa di contadini. Era così misera che lei stessa non sapeva da che parte doveva cadere, e così rimaneva in piedi. Il vento soffiava intorno all’anatroccolo, e così decise di entrare.
Qui abitava una vecchia col suo gatto e la gallina; il gatto, che lei chiamava “figliolo,” sapeva incurvare la schiena e fare le fusa, e faceva persino scintille se lo si accarezzava contro pelo. La gallina aveva le zampe piccole e basse e per questo era chiamata “coccodè gamba corta,” faceva le uova e la donna le voleva bene come a una figlia.
Al mattino si accorsero dell’anatroccolo estraneo. “Che succede?” chiese la vecchia, e si guardò intorno, ma non ci vedeva bene e così credette che l’anatroccolo fosse una grassa anatra che si era smarrita. “Ora potrò avere uova di anatra, purché non sia un maschio! Lo metterò alla prova.”
E così l’anatroccolo restò in prova per tre settimane, ma non fece nessun uovo. Il gatto era il padrone di casa e la gallina era la padrona, e sempre dicevano:
“Fai le uova?” chiese la gallina.
“No.”
“Allora te ne vuoi stare zitto!”
E il gatto gli disse: “Sei capace di inarcare la schiena, di fare le fusa e di fare scintille?”.
“No!”
“Bene, allora non devi avere più opinioni, quando parlano le persone ragionevoli.”
E l’anatroccolo se ne stava in un angolo, di cattivo umore. Poi cominciò a pensare all’aria fresca e al bel sole. Lo prese una strana voglia di andare nell’acqua, tanto che alla fine non potè trattenersi e lo disse alla gallina.
“Cosa ti succede?” gli chiese lei. “Non hai niente da fare, è per questo che ti vengono le fantasie. Fai le uova, o fai le fusa, vedrai che ti passa!”
“Ma è così bello galleggiare sull’acqua!” disse l’anatroccolo “così bello averla sulla testa e tuffarsi giù fino al fondo!”
“Sì, è certo un gran divertimento!” commentò la gallina “tu sei ammattito! Chiedi al gatto, che è il più intelligente che io conosca, se gli piace galleggiare sull’acqua o tuffarsi sotto! Quanto a me, neanche a parlarne! Chiedilo anche alla nostra signora, la vecchia dama! Più intelligente di lei non c’è nessuno nel mondo. Credi che lei abbia voglia di galleggiare o di avere l’acqua sopra la testa?”
“Voi non mi capite!” disse l’anatroccolo. “Credo che me ne andrò per il mondo”
“Fai come vuoi!” gli rispose la gallina.
E così l’anatroccolo se ne andò.
Venne l’autunno. Le foglie del bosco ingiallirono, il vento le afferrò e le fece danzare su nel cielo. Le nuvole erano cariche di grandine e di fiocchi di neve, e sulla siepe si trovava un corvo che, ah! ah! si lamentava dal freddo. Vengono i brividi solo a pensarci. Il povero anatroccolo non stava certo bene.
Una sera che il sole tramontava splendidamente, uscì dai cespugli uno stormo di bellissimi e grandi uccelli; l’anatroccolo non ne aveva mai visti di così belli. Erano di un bianco lucente, con lunghi colli flessibili: erano cigni. Mandarono un grido bizzarro, allargarono le loro magnifiche e lunghe ali e volarono via, dalle fredde regioni fino ai paesi più caldi, ai mari aperti! Si alzarono così alti che il brutto anatroccolo sentì una strana nostalgia, si rotolò nell’acqua come una ruota, sollevò il collo verso di loro e emise un grido così acuto e strano, che lui stesso ne ebbe paura. Oh, non riusciva a dimenticare quei bellissimi e fortunati uccelli e quando non li vide più, si tuffò nell’acqua fino sul fondo, e tornato a galla era come fuori di sé. Non sapeva che uccelli fossero e neppure dove si stavano dirigendo, ma ciò nonostante li amava come non aveva mai amato nessun altro.
L’inverno fu freddo, molto freddo. L’anatroccolo dovette nuotare continuamente per evitare che l’acqua ghiacciasse, ma ogni notte il buco in cui nuotava si faceva sempre più stretto. L’anatroccolo doveva muovere le zampe senza fermarsi, affinché l’acqua non si chiudesse; alla fine si indebolì, si fermò e restò intrappolato nel ghiaccio.
Al mattino presto arrivò un contadino, lo vide e col suo zoccolo ruppe il ghiaccio, poi lo portò a casa da sua moglie. Lì lo fecero rinvenire.
I bambini volevano giocare con lui, ma l’anatroccolo credette che gli volessero fare del male; e per paura cadde nel secchio del latte e lo fece traboccare nella stanza. La donna gridò e agitò le mani, lui allora volò sulla dispensa dove c’era il burro, e poi nel barile della farina, e poi fuori di nuovo! Uh, come si era ridotto! La donna gridava e lo inseguiva con le molle del camino e i bambini si urtavano tra loro cercando di afferrarlo e intanto ridevano e gridavano. Per fortuna la porta era aperta; l’anatroccolo volò fuori tra i cespugli, nella neve caduta, e lì restò, stordito.
Sarebbe troppo straziante raccontare tutte le miserie e i patimenti che dovette sopportare nel duro inverno. Si trovava nella palude tra le canne, quando il sole ricominciò a splendere caldo. Le allodole cantavano, era giunta la bella primavera!
Dalle fitte piante uscirono, proprio davanti a lui, tre bellissimi cigni bianchi; frullarono le piume e galleggiarono dolcemente sull’acqua. L’anatroccolo riconobbe quegli splendidi animali e fu invaso da una strana tristezza.
“Voglio volare da loro, da quegli uccelli reali; mi uccideranno con le loro beccate, perché io, così brutto, oso avvicinarmi a loro. Ma non mi importa! è meglio essere ucciso da loro che essere beccato dalle anatre, beccato dalle galline, preso a calci dalla ragazza che ha cura del pollaio, e soffrire tanto d’inverno!” E nuotò verso quei magnifici cigni. Questi lo guardarono e si diressero verso di lui frullando le piume. “Uccidetemi!” esclamò il povero animale e abbassò la testa verso la superficie dell’acqua in attesa della morte, ma, che cosa vide in quell’acqua chiara? Vide sotto di sé la sua propria immagine: non era più il goffo uccello grigio scuro, brutto e sgraziato, era anche lui un cigno.
Ora era contento di tutte quelle sofferenze e avversità che aveva patito, si godeva di più la felicità e la bellezza che lo salutavano.
Nel giardino giunsero alcuni bambini e gettarono pane e grano nell’acqua; poi il più piccolo gridò: “Ce n’è uno nuovo!”. E gli altri bambini esultarono con lui: “Sì, ne è arrivato uno nuovo!”. Battevano le mani e saltavano, poi corsero a chiamare il padre e la madre, e gettarono di nuovo pane e dolci in acqua, e tutti dicevano: “Il nuovo è il più bello, così giovane e fiero!”. E i vecchi cigni si inchinarono davanti a lui.
“Tanta felicità non l’avevo mai sognata, quando ero un brutto anatroccolo!”
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